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Nazionale, rilancio impossibile: i veri padroni del calcio cercano solo soldi

C’è chi se la prende con Prandelli, chi con Balotelli, chi con il morso di Hannibal Suarez. Vero è che l’intera comitiva azzurra ha grandi responsabilità e che tutti loro hanno contribuito, pur se in modo diverso, alla disfatta dell’Italia del pallone ma sbaglierebbe chi pensasse di ridurre l’analisial fatto tecnico. Questa sconfitta è soprattutto un fatto politico.

Sia nel ’66, dopo la Corea in Inghilterra, che nel ’74, dopo la Polonia in Germania, fu la Federcalcio a indicare la strada della rinascita. Certo, erano tempi diversi. Prima furono bloccate le frontiere, imponendo un’autarchia che si mantenne fino al 1980. Poi si decise di promuovere sul campo allenatori federali, anche se in una prima fase protetti da dei tutor: Helenio Herrera per Valcareggi e Fulvio Bernardini per Bearzot. A prescindere da quanto quei provvedimenti sarebbero oggi riproponibili, fu la Federcalcio a indicare e sostenere quelle scelte. La Federcalcio che aveva il governo del calcio.

Succede invece che dopo le dimissioni di Cesare Prandelli (gesto ampiamente prevedibile dopo quanto successo in Brasile) sono arrivate anche quelle di Giancarlo Abete, presidente Figc. Pochi si sono domandati che senso abbia avuto quest’ inattesa decisione. Proviamo a fare delle ipotesi. Il capo di un governo non scappa di fronte a una crisi. Anzi, proprio al governo tocca di governare l’emergenza. Giancarlo Abete è uomo d’onore, conosce il calcio e vanta una lunga militanza dirigenziale. Allora o Abete è un Celestino V (il penultimo pontefice a dare le dimissioni) o si sente in una situazione di totale impotenza. Saprebbe cosa fare ma sa che non glielo permetteranno. Vi domanderete: ma chi comanda nel calcio?

Nei giorni scorsi la Lega di serie A (che sarebbe la società delle società) dopo un balletto a colpi di carte bollate, ha deciso di vendere i diritti televisivi via satellite a Sky. Le società riceveranno per le 380 partite 572 milioni di euro. La Lega, però, non poteva tradire Silvio Berlusconi e quindi Mediaset. Al gruppo del proprietario del Milan andranno i diritti per il digitale terrestre di otto big per un totale di 373 milioni. La Confindustria del calcio incasserà così 945 milioni da dividere tra le singole società, su carature diverse.

La Federcalcio è l’Ente cui fa riferimento tutto il calcio italiano. Alla Lega spetta, su delega della Figc, l’organizzazione dei campionati. E la Lega, pur di incassare tutti quei soldi, dispone che si giochi il venerdì, il sabato, la domenica all’ora di pranzo, subito dopo pranzo, a metà pomeriggio e in notturna. Del resto, come si dice, business è business.

Torniamo alla domanda di qualche riga fa: chi comanda? Alla luce di questi numeri la risposta appare chiara e indiscutibile. Il vero potere del calcio è in mano alle società, la cui prima preoccupazione non è la nazionale. E la Federcalcio tace e subisce. I presidenti devono fare spettacolo in tutti i modi possibili. Anzi le convocazioni in azzurro, le amichevoli sono vissute come fastidio. Immaginatevi quale reazione avrebbero i presidenti di fronte ad una norma che imponesse di far giocare giovani italiani piuttosto che semisconosciuti ragazzotti stranieri. L’Udinese fa commercio di talenti esotici, l’Inter schiera spesso per dieci undicesimi atleti d’oltrefrontiera, Milan e Juve sono sempre in caccia di giocatori provenienti dalle latitudini più lontane. Il calciomercato sembra dominato da un’esterofilia solo apparentemente inspiegabile. A loro di far maturare i talenti italiani interessa solo nella prospettiva di poter beccare qualche emiro o qualche petroliere russo. Soldi, soldi, solo soldi: è la loro vera ossessione.

Il calcio italiano ha stadi fatiscenti? Le frange del tifo violento fanno scempio del campionato? Scandali e scaldaletti minano la credibilità dello sport più amato dagli italiani? Ma chi se ne frega. Soldi, solo soldi, anzi alla politica non di rado si è ricorsi per mascherare la drammaticità dei bilanci. Abete se ne va. Magari loro, i veripadroni del vapore, richiameranno Franco Carraro.


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Massimo Sandrelli

Giornalista

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