Il Senato di Giovanni Spadolini era una bomboniera. Oggi invece …
Al tempo di Giovanni Spadolini presidente, il Senato era una bomboniera. Palazzo Madama veniva considerato la Camera alta, per stile e autorevolezza. A differenza di Montecitorio, dove i deputati talvolta alzavano la voce, anche se sempre nel rispetto reciproco: democristiani e comunisti si sfidavano dandosi del lei. I missini usavano addirittura il “voi”.
Fra qualche giorno, il 4 agosto, ricorrerà il ventesimo anniversario della morte del Professore. E proprio in questo periodo, invece di ricordarlo come fulgido esempio di politico del dialogo e del possibile, Palazzo Madama sta dando il peggio di sè: con una gazzarra continua sempre sul punto di finire in rissa. E’ il segno dei tempi? Allora “mala tempora currunt”. Perché non è affatto vero che comportamenti volgari o non adeguati siano da persone ganze, da fichi, da furbi.
Giovanni Spadolini veniva eletto per il Partito Repubblicano (a Milano, mai a Firenze, un vezzo anche quello…) sia alla Camera che al Senato ma non volle mai andare a Montecitorio perché prediligeva quello che considerava il salotto buono della politica: dove sedevano senatori a vita che si chiamavano Sandro Pertini, Leo Valiani, Norberto Bobbio. E dove mai, all’epoca, qualcuno si sarebbe sognato d’entrare in Aula sbracciato, senza giacca o senza cravatta. Spadolini, su questo, era irremovibile. Quand’era direttore de “Il Resto del Carlino”, a Bologna, pretendeva che anche i giornalisti del turno di notte, quelli che impaginavano in tipografia e si sporcavano con l’inchiostro e con il piombo fuso dalle linotype, avessero il nodo perfetto e la giacca abbottonata. Anche d’estate. Regola che invece non si sognavano di rispettare i redattori di “Stadio”, quotidiano sportivo allora dello stesso gruppo editoriale, liberi di sfoggiare magliette coloratissime. O maglioni a collo alto.
Non basta. Bisognava vestirsi “da matrimonio” nelle domeniche elettorali, per seguire Spadolini mentre andava a votare nella mitica scuola del Pian de’ Giullari. Era quasi un rito: appuntamento a casa, nella villa il “Tondo dei cipressi”, oggi sede della Fondazione che porta il suo nome. Tre soli i cronisti ammessi: della Rai, dell’agenzia Ansa, de “La Nazione”. Domande? Non era necessario: lui, davanti a telecamera e taccuini, legge un foglietto che aveva scritto di prima mattina, dopo aver letto i giornali. Non ci crederete: in quelle venti righe c’era sempre tutto. Compresa qualche domandaccia che frullava nella testa di chi doveva fare il servizio. Spadolini era un grande giornalista, oltre che un politico di stile e di spessore. Oltre al “Carlino”, aveva diretto il “Corriere della Sera” (dal 1968 al 1972): poteva darci lezione ma non ostentava. Signore anche in questo. E’ stato il ministro fondatore del Ministero dei Beni culturali e ambientali (1974-1976) e della Pubblica istruzione (1979). Nel 1981 divenne il primo presidente del Consiglio laico nella storia repubblicana, e successivamente fu anche ministro della Difesa nel governo di Bettino Craxi (1983). Nel luglio 1987 fu eletto presidente del Senato. Nominato senatore a vita nel 1991, ricoprì il ruolo di Presidente della Repubblica ad interim dopo le dimissioni di Francesco Cossiga.
Cosimo Ceccuti, storico allievo e collaboratore di Spadolini, oggi presidente e segretario della Fondazione, ha scritto per l’Editore Pagliai un libro smilzo (un centinaio di pagine, tante foto) per spiegare, soprattutto ai ragazzi, chi era il Professore: non solo il politico di maggior spicco di Firenze della Toscana del secolo scorso, insieme a La Pira, ma un autorevole protagonista della storia italiana.
Attento a non eccedere (Spadolini incute timore anche da lassù…), Ceccuti non mette in luce soltanto le brillanti doti intellettuali, la modernità del pensiero, il senso dello Stato spadoliniano, ma anche l’amore per Firenze, per l’Italia, per l’Europa. Aveva la vocazione al dialogo. Intendeva la politica come mezzo per risolvere le contese attraverso il ragionamento. Mai a voce alta. E prendeteva, appunto, che i suoi interlocutori fossero in giacca e cravatta. Giornalisti compresi. Figuratevi i senatori!