Governo, riforme: braccio di ferro in Direzione Pd fra Renzi e la minoranza


ROMA – Matteo Renzi è stato chiaro nel corso della riunione della Direzione del Pd, convocata per chiarire il rapporto con le opposizioni dopo lo strappo avvenuto in aula in occasione del voto sulle riforme. «Non accettiamo che un’arma di veto, l’ostruzionismo, possa fermare il nostro lavoro: in questa legislatura il sì e no non lo danno le opposizioni», chiarisce il premier ribadendo tanto alla minoranza interna quando a quella in Parlamento che tocca al governo «guidare la macchina».
«Dentro Fi c’è un derby tra chi, come Brunetta, vuole andare a votare nel 2015 e mandare a monte le riforme e chi vuole portare a termine il lavoro cominciato con noi». In ogni caso, chiarisce per l’ennesima volta Renzi, «noi arriviamo al 2018 con o senza di loro: il diritto di veto non ce l’ha nessuno».
Un tono apparentemente duro e ultimativo però, nasconde un lavoro di diplomazia dei pontieri per evitare che anche nel voto finale sulla riforma costituzionale l’opposizione si sfili. E con essa l’ala dura della minoranza che giudica inaccettabile l’approvazione a maggioranza del cambio della Costituzione.
Infatti quest’ultima sostiene che Matteo Renzi non se la può cavare con una generica apertura al dialogo: per ricucire lo strappo con le opposizioni deve aprire un confronto vero, nel merito delle modifiche alla riforma costituzionale e, in prospettiva, alla legge elettorale. Ripartendo, magari da Sel, che con il «metodo Mattarella» è stata coinvolta nel voto sul nuovo presidente della Repubblica. Gli esponenti non-renziani del Pd avvertono quindi che non sono disposti ad accettare che il voto finale sul ddl costituzionale avvenga in un’Aula semivuota. E che non basta la risposta arrivata in direzione dal premier.
