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Marò, Tribunale de L’Aja: botta e risposta fra India e Italia. Da un lato si chiede il rientro di Girone, dall’altra lo si nega, ma i toni sono meno tesi

Tribunale arbitrale L’Aja

 

L’AJA  – E’ un nuovo botta e risposta quello che ha contrapposto oggi all’Aja l’Italia all’India sulla vicenda dei marò. Davanti al Tribunale arbitrale che dovrà decidere a chi spetti giudicare i due Fucilieri di Marina per la morte di due pescatori indiani nel 2012, l’agente del governo italiano, l’ambasciatore Francesco Azzarello, ha ribadito la richiesta di far rientrare in patria Salvatore Girone.

Il marò – è la motivazione – rischia di dover aspettare a New Delhi altri 3 o 4 anni, il tempo previsto per la fine dell’arbitrato, privato della sua libertà, e per giunta senza un formale capo d’accusa, in violazione dei suoi diritti umani.

Una richiesta che l’India ha subito respinto come inammissibile, o comunque difficile da accettare. Così come ha rispedito al mittente la responsabilità per la lentezza della giustizia indiana. E’ l’Italia ad aver rallentato l’avvio di un processo nei loro confronti con le continue richieste e petizioni presentate alle corti indiane. Non per nostra negligenza, ha replicato nell’aula del Palazzo della Pace l’agente indiano, Neeru Chadha.

Nelle sue Osservazioni scritte, depositate a febbraio e rese pubbliche solo oggi, l’India ha affermato che «esiste il rischio che Girone non ritorni» a Delhi nel caso l’arbitrato le riconoscesse la giurisdizione e si avviasse il processo. Sarebbero necessarie rassicurazioni in tal senso, è la contro-richiesta indiana, perché le garanzie fornite finora dall’Italia sono state insufficienti.

L’elemento centrale della posizione indiana è proprio questa rassicurazione, ha spiegato Azzarello parlando con i giornalisti. «Ma non si può usare un essere umano come garanzia per la condotta di uno Stato, è lo Stato stesso che deve farlo. Per questo abbiamo solennemente ribadito che l’Italia rispetterà qualsiasi ordine del Tribunale arbitrale, come è ovvio». Non solo: uno dei legali del team internazionale di parte italiana, Sir Daniel Bethlehem, ha invitato i 5 giudici del Tribunale a considerare la possibilità di imporre anche alcune condizioni al rientro di Girone, come il ritiro del suo passaporto una volta rimpatriato e il divieto di viaggiare all’estero senza permesso.

Dall’udienza di agosto 2015 al Tribunale del mare di Amburgo, i toni sia italiani che indiani appaiono comunque sfumati: dalle dichiarazioni in aula, così come dalle memorie scritte, sono sparite parole riecheggiate in quei giorni come assassini o ostaggi.

E anche da Bruxelles segnali di disgelo arrivano dal vertice Ue-India, dove era previsto che il caso marò avesse uno spazio centrale, poi riflesso nel documento finale congiunto. Da un canto, si legge, «l’Ue condivide la preoccupazione dell’Italia per una rapida soluzione della prolungata restrizione della libertà per i due marò», dall’altro l’India «sottolinea la necessità che sia resa la dovuta giustizia alle famiglie dei pescatori indiani uccisi». Entrambe le parti hanno poi espresso la loro fiducia nella procedura di arbitrato in corso. Fonti europee hanno riferito che nell’incontro con i vertici delle istituzioni Ue (compresa l’italiana Federica Mogherini) il premier indiano Narendra Modi ha mostrato un atteggiamento costruttivo, anche se ha voluto cancellare la conferenza stampa prevista, forse proprio per evitare domande sulla vicenda da parte della stampa europea.

All’Aja l’Italia ritiene di avere solide motivazioni giuridiche e umanitarie per chiedere, e per nutrire speranze, che Girone torni a casa. Senza dimenticare l’altro marò, Massimiliano Latorre, già a casa per un permesso concesso per motivi di salute dalla Corte Suprema indiana, permesso che però scadrà il 30 aprile. La decisione su Girone non arriverà prima di un mese. Nel frattempo il Collegio di difesa è tornato a riunirsi stasera per preparare le repliche per domani, seconda giornata di dienza.

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Paolo Padoin

Già Prefetto di Firenze Mail

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