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Brexit: 11 mesi per l’uscita dalla Ue, cosa cambia per gli italiani da fine 2020

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La vittoria straripante di Boris Johnson e dei conservatori britannici ha come conseguenza l’accelerazione dell’uscita di Londra dall’Unione Europea. I sudditi di Sua Maestà si sono pronunciati in larghissima maggioranza per l’uscita dall’Europa prepotente e matrigna, succube ai voleri di Merkel e Macron e curatrice degli interessi della finanza internazionale. Anche a costo di affamare i popoli, come è avvenuto in Grecia, e come potrebbe avvenire anche in Italia. L’importante, per la Ue, era salvare le banche tedesche e francesi.

Al Consiglio europeo di Bruxelles si percepisce comunque una certa amarezza per il successo elettorale di Boris Johnson. Lo spiega Marco Bresolin sulla Stampa di oggi 14 dicembre.

Anche se i cittadini britannici, con questo voto, hanno mandato un chiaro messaggio anti-Ue, tutto sommato, al tavolo dei leader europei non si piange al disastro: «Il tempo della chiarezza è arrivato», dice Emmanuel Macron, interpretando un sentimento molto diffuso. Perché da giovedì sera nelle capitali Ue hanno capito che, dopo tre rinvii, il 31 gennaio la Brexit potrebbe finalmente diventare realtà. Si chiuderebbe così la Fase Uno, che è stata fin qui segnata da molta inconcludenza e tanta incertezza.

Sulla Fase Due restano ancora molte incognite. A cominciare dai tempi. Una volta terminati i processi di ratifica, a Westminster e a Strasburgo, Regno Unito e Ue dovranno mettersi al tavolo per definire i termini della relazione futura. Il tempo a disposizione è pochissimo, visto che la fase transitoria scade il 31 dicembre 2020. C’è la possibilità di una sola ulteriore proroga, due anni al massimo, ma andrà chiesta entro la fine di giugno 2020. Johnson ha promesso che non lo farà. Undici mesi per negoziare un accordo commerciale e i termini della partnership sono oggettivamente pochi: di solito servono anni per accordi di questo tipo.

«E una vera sfida, per questo dovremo metterci al lavoro il prima possibile», avverte Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Ue. Il compito sarà nuovamente affidato a Michel Barnier. Bruxelles vuole un accordo «zero dazi, zero quote e zero dumping» perché, dice Macron, «se puntiamo ad un accordo commerciale ambizioso, abbiamo bisogno di un’ambiziosa convergenza delle regole». Il che significa che Londra dovrebbe tenere la sua legislazione allineata il più possibile a quella dell’Unione europea: obiettivo molto difficile, data la giusta voglia di indipendenza del Regno Unito contro il dispotismo e le prepotenze comunitarie.

Angela Merkel riconosce che «i negoziati saranno difficili» e avvisa i partner: Londra sarà «un concorrente alle nostre porte», ma – ammette la Cancelliera – questa situazione «potrebbe ispirarci ad essere più veloci nelle nostre decisioni».

Nel frattempo cosa cambierà peri cittadini europei, e per gli italiani che vivono Oltremanica? Dal 1 febbraio 2020 assolutamente nulla. Fino al 31 dicembre 2020 Londra resterà sottoposta alla legislazione Ue (pur senza partecipare al processo decisionale) e gli europei che ancora non lo hanno fatto avranno la possibilità di registrarsi per richiedere lo status speciale (che verrà concesso dopo 5 anni di residenza).

Passata quella data, però, tutto cambierà. Johnson ha già annunciato che introdurrà una stretta sull’immigrazione. Dal 2021, per rimanere più di 3 mesi servirà un permesso e bisognerà dimostrare di avere un lavoro. Ma anche per il visto turistico sarà richiesto il passaporto e servirà una sorta di visto elettronico (la registrazione andrà fatta tre giorni prima dell’arrivo) simile a quello per entrare negli Stati Uniti (Esta).

Come si vede non si tratterà di un negoziato facile, ma Londra ha il merito di aver aperto la strada agli altri Paesi che vorranno lasciare la gabbia imposta dalla Ue, anche se i britannici sono stati favoriti dalla decisiva circostanza di aver mantenuto una loro moneta e di aver sempre rifiutato l’euro, impostoci da Prodi con un cambio suicida.


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Paolo Padoin

Già Prefetto di FirenzeMail

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