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Nagorno Karabakh: separatisti annunciano la fine della Repubblica. Esodo armeno

Sparirà dalle carte geografiche politiche, la Repubblica dell’Artsakh, nome armeno del Nagorno-Karabakh. Dopo oltre tre decenni, i separatisti hanno annunciato che, entro la fine del 2023, le sue istituzioni chiuderanno i battenti. Una brusca svolta dettata dal cambio repentino della situazione, che ha provocato un drammatico esodo di massa, con migliaia e migliaia di armeni che stanno lasciando le loro case per paura di possibili rappresaglie delle forze azere.

Secondo il governo di Yerevan, in quattro giorni si sarebbero rifugiati in Armenia oltre 74.000 profughi, cioè più della metà dei circa 120.000 abitanti dell’enclave. Dopo una rapida (e sanguinosa) offensiva militare e il successivo cessate il fuoco mediato da Mosca, l’Azerbaigian sta infatti prendendo il controllo della regione considerata ufficialmente territorio azero ma abitata prevalentemente da armeni.

Una regione contesa a cannonate da decenni e che è stata teatro di scontri cruenti. Il governo di Baku sostiene di essere pronto a rispettare i diritti degli armeni della regione. “Invitiamo gli abitanti armeni a non lasciare le loro case e a diventare parte della società multietnica dell’Azerbaigian”, dichiara il ministero degli Esteri azero.

Ma il premier armeno Nikol Pashinyan accusa Baku di “pulizia etnica” e denuncia che, di questo passo, “nei prossimi giorni non ci sarà più alcun armeno nel Nagorno-Karabakh”. La strada che costeggiando le montagne porta in Armenia è saturata da file chilometriche di auto, compreso il corridoio di Lachin – l’unico collegamento tra Armenia e Nagorno-Karabakh – che l’Azerbaigian è accusato di aver di fatto bloccato per nove mesi provocando carenze di cibo e medicinali per la popolazione dell’enclave.

La situazione, da crisi umanitaria, non può che destare allarme nella comunità internazionale e diversi Paesi occidentali hanno esortato il governo dell’Azerbaigian a consentire l’ingresso di osservatori internazionali nella regione. Ma non tutti coloro che vogliono lasciare il Nagorno-Karabakh riescono a farlo. Baku ha infatti definito il governo dei separatisti armeni “una giunta criminale” e ha arrestato alcuni suoi leader, tra cui Ruben Vardanyan, l’ex premier dell’autoproclamata repubblica di Artsakh, a quanto pare mentre cercava anche lui di raggiungere l’Armenia.

Vardanyan, ricco banchiere che ha fatto fortuna in Russia, ha guidato i separatisti dal novembre del 2022 al febbraio di quest’anno, e ovviamente si teme contro di lui un processo iniquo. Le autorità azere, del resto, lo hanno già accusato di “finanziamento del terrorismo”, “creazione di gruppi o gruppi armati illegali” e “attraversamento illegale del confine”: imputazioni per le quali rischia fino a 14 anni.

“È essenziale che i diritti di Ruben Vardanyan e di tutti gli altri individui detenuti ricevano pieno rispetto e protezione”, ha commentato all’Afp l’ufficio per i diritti dell’Onu, mentre il primo ministro armeno Pashinyan ha accusato Baku di “arresti illegali”.

Ma Pashinyan ha anche accusato Mosca di essere “distratta” dall’invasione dell’Ucraina e non aver fermato l’esercito azero nonostante i 2.000 soldati russi schierati nel Nagorno-Karabakh con l’obiettivo ufficiale di garantire il rispetto della tregua dopo i sanguinosi combattimenti di tre anni fa in cui morirono 6.500 persone. Nella prima guerra, combattuta tra il 1988 e il 1994, i morti furono 30.000 e gli sfollati oltre un milione, tra cui molti azeri. Entrambe le parti furono accusate di violenze.

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Sandro Bennucci

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