Ex Br: pm di Torino chiede processo per Curcio e Moretti. Nella sparatoria di 50 anni fa morirono un carabiniere e Mara Cagol
TORINO – Si riapre una vecchia pagina del terrorismo: ossia l’inchiesta sull’omicidio dell’appuntato dei carabinieri Giovanni D’Alfonso, avvenuto il 5 giugno 1975 nei pressi della Cascina Spiotta, in provincia di Alessandria. In quell’occasione morì anche Margherita “Mara” Cagol, moglie di Renato Curcio.
I militari del Ros, coordinati dalla procura di Torino, hanno notificato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari agli ex brigatisti Lauro Azzolini, Renato Curcio, Mario Moretti e Pierluigi Zuffada, che sono indagati.
Le indagini condotte dai Carabinieri del Ros – e riaperte dietro istanza de figlio del carabiniere D’Alfonso – si sono concentrate sui responsabili del sequestro dell’imprenditore Vittorio Vallarino Gancia (morto nel 2022, ndr), avvenuto il 4 giugno 1975 ad opera di appartenenti alle Brigate Rosse e del successivo scontro a fuoco nel quale, oltre al militare, perse la vita la moglie di Curcio, Margherita ”Mara” Cagol. Vennero gravemente feriti il Tenente Umberto Rocca e il maresciallo dei carabinieri Rosario Cattafi. Dopo il conflitto a fuoco uno dei sequestratori, riuscì ad allontanarsi ed ogni tentativo di identificarlo è stato finora vano.
Gli ex militanti Lauro Azzolini, Pierluigi Zuffada, Renato Curcio e Mario Moretti – oggi tutti fra i 77 e gli 82 anni – sono stati raggiunti dall’avviso di conclusione delle indagini preliminari firmato dal procuratore aggiunto di Torino, Emilio Gatti. Rispondono – chi come mandante-organizzatore, chi esecutore – di concorso in omicidio volontario pluriaggravato con finalità terroristiche.
Quel giorno, come detto, a terra rimase anche Margherita ‘Mara’ Cagol, la moglie del fondatore dell’organizzazione rivoluzionaria armata, Renato Curcio. Gravemente feriti il tenente Umberto Rocca (che perse un braccio e un occhio) e il maresciallo Rosario Cattafi. Illeso l’appuntato Pietro Barberis. I tentati omicidi non fanno parte delle accuse per intervenuta prescrizione a quasi 50 anni dai fatti.
Secondo i pm torinesi Azzolini sarebbe, assieme alla Cagol, il militante del commando riuscito a fuggire e rimasto ignoto. Nel corso del conflitto il brigatista avrebbe lanciato tre “bombe a mano” ed esploso “numerosi colpi d’arma da fuoco” per coprire la fuga. Zuffada avrebbe partecipato al sequestro dell’industriale recapitando le richieste di riscatto su cui sarebbero presenti le sue impronte digitali.
Curcio e Moretti, esponenti di vertice delle Br e difesi rispettivamente dagli avvocati Vainer Burani e Giuseppe Pelazza, avrebbero deciso e ordinato il sequestro a scopo di estorsione. Inoltre avrebbero fornito le direttive di ingaggiare il conflitto a fuoco “per rompere l’accerchiamento” in caso di avvistamento del “nemico”, come recita il ‘Giornale delle Brigate Rosse Lotta Armata per il Comunismo’ sequestrato a un militante milanese il 20 ottobre 1975.
L’unico già condannato in via definitiva per quei fatti è Massimo Maraschi per via delle impronte digitali rilevate su alcuni documenti. Stessi indizi per i quali si è giunti al coinvolgimento di Azzolini e Zuffada.
“Voglio davvero sapere se in Italia è possibile revocare una sentenza di proscioglimento senza nemmeno averla letta, questo è il grande mistero”, commenta l’avvocato Davide Steccanella che li assiste entrambi. Azzolini, infatti, è già stato prosciolto dalle accuse in via definiva con sentenza emessa dal giudice istruttore nel 1987 con il vecchio codice. Sentenza per cui la Procura di Torino ha chiesto la revoca sulla base di nuove prove raccolte e che risulta introvabile.
Il provvedimento, infatti, non esiste negli archivi del Tribunale di Alessandria e probabilmente è andato distrutto durante un’alluvione che ha coinvolto il palazzo. “Siccome la Cassazione ha detto che la mia prima eccezione era intempestiva – afferma l’avvocato Steccanella – la riproporrò alla prima occasione. Nel merito – conclude – non abbiamo nulla da temere, l’ho detto fin dall’inizio”.