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Putin respinge la tregua, ma pronto a trattare la pace. Trump parla con Ue e volenterosi e pensa a sanzioni: petrolio e banche nel mirino

Donald Trump e Vladimir Putin

WASHINGTON – La telefonata con Trump c’è stata. Risultato? Vladimir Putin apre a un cessate il fuoco in Ucraina ma con tempi da definire: sicuramente non ora e non di 30 giorni. E Donald Trump, al termine di una telefonata fiume durata oltre due ore con il leader russo, annuncia che Kiev e Mosca inizieranno a trattare “immediatamente” una tregua. E, “ancora più importante, a negoziare la fine della guerra”, senza però fornire alcun dettaglio.

Trump è apparso dunque ottimista, parlando di una conversazione dai “toni e dallo spirito eccellente”. Pazienza se dallo zar non è emerso alcun riferimento proprio a quel cessate il fuoco immediato e di un mese chiesto a gran voce dagli Stati Uniti, dall’Ucraina e dall’Europa. E neanche una parola sul possibile incontro fra i due leader: “Non è il momento”, ha tagliato corto il Cremlino a proposito del faccia a faccia che, ha ribadito più volte il presidente americano nelle ultime settimane, potrebbe essere la chiave di volta per sbloccare la guerra e spianare la strada per la pace.

Per ora Trump sembra dunque aver spuntato da Putin solo impegni vaghi che, comunque, rappresentano un piccolo passo in avanti dopo i colloqui di Istanbul che ha segnato il primo contatto diretto fra Kiev e Mosca in tre anni. Le “condizioni” delle trattative “saranno negoziate tra le due parti, perché conoscono i dettagli di un negoziato di cui nessun altro sarebbe a conoscenza”, ha quindi aggiunto Trump in quello che però alcuni osservatori vedono come un passo indietro degli Stati Uniti. E ben venga per il presidente americano, come per i leader europei, la disponibilità del Vaticano a ospitare le trattative.

E allora? Un nuovo giro di sanzioni contro la Russia se non accetterà il negoziato con l’Ucraina. E’ il bastone che da giorni continuano ad agitare i leader europei, sin dalla missione di Starmer-Macron-Merz-Tusk a Kiev. E il cancelliere tedesco lo ha ribadito con forza nel corso della call che i leader europei hanno avuto con la Casa Bianca dopo la telefonata tra Donald Trump e Vladimir Putin. Anche gli Usa, però, iniziano a pendere verso quella direzione, con il famigerato pacchetto elaborato dal senatore repubblicano Lindsey Graham.

E’ lì che stanno i denti, con misure draconiane al settore bancario ed energetico, finanche l’imposizione di dazi al 500% a quei Paesi – come Cina e India – che acquistano il petrolio russo. Il disegno di legge, già depositato, è a servizio di Donald Trump dato che mira a “imporre sanzioni severe” alla Russia in caso di “rifiuto a negoziare un accordo di pace con l’Ucraina, violazione di un eventuale accordo nonché di una nuova invasione militare”. Il segretario di Stato Marco Rubio ha lasciato intendere che se Vladimir Putin non collaborerà il Congresso potrebbe prendere l’iniziativa, lanciando così un messaggio trasversale a Mosca.

La parte più pesante è quella relativa al settore energetico e alle materie prime. Il capitolo prevede infatti: “Il divieto d’investimenti nel settore energetico russo; sanzioni a chi supporta la produzione russa di petrolio, uranio o gas; il divieto totale d’importazione di uranio dalla Russia (gli Usa ne acquistano ancora); aumento dei dazi al 500% su beni e servizi russi (inclusi petrolio e gas); dazi del 500% anche sui Paesi che acquistano petrolio, uranio o prodotti russi”. A chiudere, il blocco delle transazioni e congelamento dei beni “di istituzioni finanziarie russe” (ad esempio Banca Centrale Russa, Sberbank, VTB Bank) e “le sanzioni ai fornitori di servizi finanziari globali” (come SWIFT) che collaborano con istituzioni russe sanzionate.

La parte più controversa, per gli Usa stessi, è certamente quella sui dazi, perché in un certo senso vanificherebbe gli sforzi distensivi con Pechino e farebbe rientrare dalla finestra – la turbolenza sui mercati finanziari – ciò che sembra si avvii ad uscire dalla porta. Le sanzioni secondarie contro la Russia sono “un’opzione che rimane sul tavolo”, ha notato non a caso la portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, poco prima della telefonata tra Putin e Trump. Graham la settimana scorsa ha preso parte alla riunione del Quintetto (Usa, Gran Bretagna, Francia, Germania e Italia) ad Antalya, a margine della ministeriale Esteri Nato, segno che la cooperazione tra Usa ed Europa sul dossier sta aumentando.

Ora è l’Ue che deve trovare una via per elaborare un nuovo pacchetto – sarebbe il 18esimo – lacrime e sangue – potrebbe includere misure sui gasdotti Nord Stream 1 e 2, l’aggiunta di ulteriori navi della flotta ombra russa alla lista nera, un abbassamento del tetto massimo del prezzo del petrolio e sanzioni sul settore finanziario russo.

Molti Stati membri chiedono di alzare il tiro, andando a colpire il gas e il settore nucleare civile. “Possiamo ancora fare molto male alla Russia ma serve coraggio”, nota una fonte diplomatica. Soprattutto, però, serve l’unanimità. E Budapest usa sempre di più il veto per bloccare gli altri Stati membri (a fine luglio peraltro c’è da votare il rinnovo per altri sei mesi di tutte le misure approvate sinora). In generale, si può dire che se Washington non molla la presa Viktor Orban avrà più difficoltà a mettere i bastoni tra le ruote ai partner europei.

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