
Adriano Olivetti un esempio per l’Italia, un problema per gli Usa

FIRENZE – La miniserie televisiva «Adriano Olivetti-La forza di un sogno» andata in onda lunedì e martedi sera su RAI1, ha avuto uno share del 22,92%, salito nella seconda serata al 24,67%, equivalente a 6.345.000 spettatori. Un successo meritato, ma forse inatteso. Che Luca Zingaretti ci avesse abituato ad ascolti da capogiro è cosa nota: ricordiamo le sue brillanti interpretazioni di Borsellino, di don Puglisi, di Perlasca. Ma non era facile pensarlo nei panni di un imprenditore piemontese del secondo dopoguerra! Ha avuto ragione la professionalità del regista Michele Soavi, peraltro nipote di Adriano, che dopo anni ha ceduto alle insistenze di amici e conoscenti che volevano che egli portasse sullo schermo la vita del nonno materno. E in quattro ore di filmato ha saputo condensare, anche se in una trasposizione piacevolmente romanzata, il vissuto di quest’uomo straordinario che ha fatto la storia dello sviluppo industriale del nostro paese . «È una storia fatta di colori caldi – ha detto il regista – come i sentimenti che trascinavano e guidavano mio nonno».
E come credo per tanti altri telespettatori, anche per me Adriano Olivetti è stata una scoperta, una piacevole scoperta. Un tecnico dalle tante passioni, l’arte, la storia, la filosofia, la letteratura e dalle tante anime: amministratore, politico, editore, scrittore. Un uomo dalla personalità poliedrica capace di far nascere il prestigioso «made in Italy» nel mondo. Non solo l’ideatore della epica «lettera 22» (che mi fece compagnia nello stendere la tesi di laurea e che ancora conservo nel mio studio) che è oggi esposta al Museo di Arte Moderna di New York. ma pure dell’«Elea 9003», il primo moderno calcolatore elettronico a transistor.
Classe 1901, tenace e volitivo come lo sanno essere i nati sotto un segno di fuoco, ariete, laureatosi in ingegneria chimica a 23 anni, subentrò nel 1926 al padre Camillo nella guida dell’azienda di Ivrea dopo un periodo di gavetta trascorso prima all’estero e poi all’interno della fabbrica proprio per imparare il mestiere. Lo spirito innovatore nel modo di vivere la fabbrica che lo animò è condensato nella frase stralciata da un discorso rivolto ai suoi operai: «Voglio che la Olivetti non sia solo una fabbrica ma un modello, uno stile di vita. Voglio che produca libertà e bellezza perché saranno loro a dirci come essere felici». Belle parole, bei sentimenti, si potrà pensare! Ma il pensiero si tramutò in fatti, e anche lontano dal Piemonte.
Basti ricordare che nel suo modo di concepire la fabbrica nel territorio come un duo indissolubilmente integrato in un disegno comunitario armonico, ci fu l’esperienza vincente dell’apertura di uno stabilimento per produrre macchine calcolatrici a Pozzuoli nel ’53. Fu un successo, la produttività superò anche quella della stessa Ivrea. Tra gli ingredienti della sua «ricetta»: salari dignitosi, turni di lavoro più brevi, assistenza alle famiglie degli operai.
Ricoprì la carica di sindaco nella sua amata città e fu anche un politico che credeva nei sentimenti umani; venne eletto deputato nel ’58 col Movimento Comunità sotto un governo Fanfani. Fermo oppositore del regime fascista fu in contatto con la resistenza e partecipò attivamente alla fuga di Filippo Turati verso la Francia. Editore e scrittore, i suoi numerosi scritti sono oggi conservati presso la Fondazione che porta il suo nome e che nacque nel ’62 con l’intenzione di raccogliere e sviluppare l’impegno civile, politico e sociale di Adriano. Il suo successo da imprenditore proteso a reinvestire il profitto dell’azienda a beneficio della comunità (arrivò ad avere 36.000 dipendenti), il suo particolare modo di vivere la fabbrica in controtendenza con il modello del tempo, lo resero un avversario pericoloso per la potenza statunitense e portarono la Cia a tenerlo costantemente sotto controllo, a spiarne movimenti e attività gestionale. Come si vede, nulla di nuovo sotto il sole!

paolo
Adriano la fondò….De Benedetti la distrusse….