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Storia di Firenze, la barca del Brunelleschi

L'Opera di San Giovanni
L’Opera di San Giovanni

Firenze, piazza San Giovanni – Il quattrocentesco Palazzetto dell’Opera  di San Giovanni, sede dell’antica canonica,  si denota per la sua bella facciata in bozze di pietra forte al piano terra e in filaretto grezzo al primo e secondo piano, mentre la parte terminale a tetto è intonacata.

Il portale d’ingresso è sormontato da un’artistica lunetta a timpano al centro della quale vi è un San Giovannino in terracotta, copia di un originale di Michelozzo ora al Museo Nazionale del Bargello. Ai lati della lunetta due aquile marmoree, che artigliano un torsello, ricordano l’emblema dell’Arte Maggiore dei Mercatanti di Calimala che, almeno dal 1157, ebbe l’incarico di amministrare l’opera di San Giovanni. La delega, altamente importante, venne data proprio a quest’Arte perché aveva alle spalle una solida reputazione commerciale ed economica, altrimenti non le sarebbe stato affidato  un  così autorevole mandato.

Oltrepassato l’ingresso, il cortile se pur recentemente ristrutturato, mantiene sempre le sobrie caratteristiche del XV secolo. Prima di salire ai piani superiori, ora adibiti a centro di accoglienza turistica e culturale, in una teca a sinistra, entrando, si nota un bel modellino in legno eseguito in scala dall’architetto Massimo Ricci, riproducente un’imbarcazione senza chiglia realizzata dal Brunelleschi, quando costruiva la cupola di Santa Maria del Fiore.

La chiatta veniva usata per il trasporto del marmo da utilizzare nella costruzione  della cupola, marmo proveniente da Carrara che, caricato a Pisa, per via fluviale risaliva l’Arno fino a Porto  di Mezzo di Signa e quindi via terra trasferito a Firenze.

Si tratta del «Badalone», battello fluviale simile a una grossa nave come quelle usate per traghettare persone e cose da una sponda all’altra dei fiumi, al quale l’architetto aggiunse ingegnosi meccanismi per sfruttare la forza delle correnti d’aria mediante due grandi pale simili a quelle dei mulini a vento che, con una serie di ingranaggi, trasmettevano l’energia per far girare quattro eliche motrici laterali e dare maggiore propulsione al movimento del battello, che così si poteva spostare con maggior rapidità.

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Dal libro di Luciano e Ricciardo Artusi «A occhio e croce» – Passo dopo passo curiosando in piazza del Duomo – Firenze Leonardo Edizioni 2013. Per gentile concessione dell’Editore.

 

Storia di Firenze, tradizioni fiorentine


Luciano Artusi


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