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Il Cardinale Giuseppe Betori alla celebrazione della Virgo Fidelis

L’omelia di Betori: «Politica ed economia evitino ingiustizie e disuguaglianze. Dedichiamo il Natale ai cristiani perseguitati»

Giuseppe Betori
Il cardinale Giuseppe Betori

«E’ apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini» (Tt 2,11). Le parole con cui l’apostolo Paolo annuncia che l’amore di Dio si è manifestato nella storia degli uomini sintetizzano con efficacia il senso del mistero che celebriamo in questa notte. Un mondo bisognoso di salvezza non è stato lasciato solo, abbandonato dal suo Creatore, ma questi, nella sua «tenerezza e misericordia» (Lc 1,78), ci è venuto incontro con un dono gratuito che appare a noi nella fragilità di un bambino: «Perché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio» (Is 9,5).

Da questo annuncio scaturisce un interrogativo ineludibile: siamo ancora in grado di percepire nella nostra vita il bisogno di una salvezza e di un salvatore? Non si può, infatti, dare per scontato che l’uomo e la donna di oggi sentano questo bisogno, in una cultura in cui sembrano prevalere i modelli dell’autoaffermazione, le presunzioni dell’autosufficienza, le aspirazioni a un’autonomia senza vincoli. L’uomo che vorrebbe bastare a se stesso, come può sentirsi bisognoso di altri e soprattutto di un Altro, che entri nella sua vita e vi porti, come dono, un bene, una salvezza, che egli da solo non riesce a darsi?

Il cammino dell’annuncio del Natale comincia dalla presa di coscienza del nostro limite di creature, dell’incapacità a darci da soli risposta alle attese più profonde. Un compito non facile, perché le sirene dell’individualismo slegato da tutto e da tutti sono prepotenti attorno a noi. Eppure, non c’è chi non veda quanto illusorie siano queste voci per quanto suadenti. Non ci vuole molto, infatti, a prendere atto come questa umanità che vorrebbe bastare a se stessa non riesca a liberarsi dal cumulo di ingiustizie, di sopraffazioni, di violenze che feriscono e insanguinano l’esistenza di tanti poveri e di tanti popoli.

E qui non possiamo fare a meno di ricordare quanti, in questa notte, soffrono a causa della loro fede. Lo sono i profughi cristiani perseguitati in Iraq dal Califfato dell’Isis: come non pensare in particolare al sacrificio dei quattro ragazzi, tutti con meno di quindici anni, che hanno preferito essere decapitati piuttosto che rinunciare alla fede in Gesù? Ricordiamo ancora una volta Asia Bibi, condannata a morte per una falsa accusa di blasfemia, da cinque anni rinchiusa in carcere in Pakistan, e con lei uomini e donne che subiscono violenza a causa della loro fede in tante parti del mondo. Sembra che per loro il giogo dell’oppressione, la sbarra che grava sulle spalle, il bastone dell’aguzzino – evocati nella profezia di Isaia – , siano ancora attuali (cfr. Is 9,3). Una responsabilità che dobbiamo sentire anche nostra, e indurci a sollecitare popoli e governi a rendere concreta anche per loro quella giustizia che è dono del Bambino che viene a noi come «Principe della pace» (Is 9,5).

Mancanza di libertà e violenze di ogni genere nel mondo; forme di ingiustizia sociale di cui si alimenta la precarietà in cui vivono tante famiglie e cresce la povertà; cuori, i nostri, sempre più preda dell’egoismo, sempre più vittime di istinti e brame, sempre più sordi a convertirci all’immagine dell’uomo che splende a noi dalla grotta di Betlemme.

Dal Natale giunge a noi un appello a riconoscere il male di cui siamo preda, nella nostra coscienza, nelle relazioni che si intrecciano nella società, nei rapporti tra i popoli nel mondo. Non per cadere nella disperazione, ma per prendere atto che abbiamo bisogno che Qualcuno ci venga incontro, non ci abbandoni a noi stessi, sia presenza amichevole e benigna per tutti, soprattutto per i più deboli.

Il Natale è annuncio che questo desiderio non è rimasto senza risposta, ma ha incontrato il cuore di un Dio che ci ama e per questo ci ha donato il suo Figlio. È la parola dell’angelo ai pastori: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore» (Lc 2,11).

In questo dono, che scaturisce da un amore del tutto gratuito, qual è quello di Dio, sta il segreto dello spirito del Natale. Ne diventiamo partecipi solo se anche noi entriamo in questo orizzonte di dono e ne facciamo il carattere fondamentale del nostro stare al mondo e dei nostri legami con gli altri. «Il diritto e la giustizia», che, secondo il profeta Isaia, sono ciò che il Bambino che nasce «viene a consolidare e rafforzare» (Is 9,6), non sono un arido codice di norme, con cui l’oppressione di una legge si sostituisce all’oppressione della violenza, ma corrispondono a un disegno di amore che è la volontà di bene che Dio, il Padre, ha per le sue creature, i suoi figli. È il mistero dell’amore come dono, che dalla vita stessa di Dio si comunica a noi nel dono che ci fa del Figlio suo.

Per entrare in questo mistero, occorre cominciare dal sentire la nostra stessa esistenza frutto di un dono, su cui non possiamo avanzare alcuna pretesa, ma che va accolta nella gratitudine. Un’esistenza che si riconosce donata diventa a sua volta sorgente di dono per gli altri. E quando le relazioni tra le persone si intessono nella gratuità, tutte la società ne è permeata e giunge a scoprire che, se tutto in essa, nell’economia come nella politica, si lascia illuminare da questo principio ispiratore, allora sì che ingiustizie e disuguaglianze vengono superate e i poveri sono posti al centro e non più scartati. È quella forma di vita che per san Paolo consegue all’apparire della grazia di Dio, che «ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo» (Tt 2,12-13).

Questa conversione, personale e sociale, chiediamo in questa notte al Bambino che è venuto per noi.

 

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