
Firenze: occupazione del suolo pubblico, la dannazione dei Dehors

Le cronache cittadine di questi giorni raccontano già molto dello scontro in atto tra la giunta Nardella e le imprese che, nel centro storico, esercitano la loro attività attraverso quelli che una volta venivano comunemente definiti “tavolini” e che oggi, per una sorta di “vezzo esterofilo”, prendono il nome di “Dehors”. In realtà sono anni che, non solo a Firenze, ma in tutte le principali città d’arte del territorio nazionale, dove, per nostra fortuna, si conteggiano milioni di presenze turistiche su base annuale, ci si “fronteggia” per l’uso di suolo pubblico, e soprattutto per quelle porzioni di territorio, che, in quanto immediatamente prospicienti al patrimonio monumentale diventano, come intuibile, di grande importanza per chiunque voglia fare impresa.
Una stagione difficile, iniziata proprio a Firenze, nel lontano 1992 con il famoso Decreto Ronchey che, sfrattando gli ambulanti dal Loggiato degli Uffizi, apriva, di fatto, una sorta di “confronto permanente” con la categoria, che, anche alla luce delle recenti vicende di San Lorenzo, sembra ancora lontano dal chiudersi. Negli ultimi mesi il “fronte” si è spostato anche sul versante ristorazione e pubblici esercizi. Nell’occhio del ciclone le occupazioni di Piazza Duomo, ma anche di Piazza della Repubblica, dove, non meno di tre anni fa, proprio la giunta Renzi, di concerto con la Sovrintendenza alle Belle Arti, sembrava aver finalmente trovato la quadratura del cerchio.
Chiudendo infatti tutta una serie di lunghe discussioni e di confronti anche accesi con le storiche attività della Piazza, quest’ultime venivano autorizzate al posizionamento di dehors conformi, allora si sostenne, all’arredo monumentale ed estetico della città. In quel caso, come naturalmente in altri casi del Centro storico, furono fatti, per la realizzazione del progetto, grandi investimenti. Come spesso succede nel nostro Paese, sono state naturalmente le imprese ad accollarsene l’intero onere senza alcun sostegno né esenzione fiscale e tributaria. E adesso, incredibilmente, dopo qualche anno sembra che si debba ripartire da zero. Proprio cosi, senza tenere in debita considerazione il futuro di imprese (e dei loro dipendenti) che hanno fatto grandi sacrifici ed investimenti, nel loro interesse certo, ma anche in quello della città.
Siamo disponibili, come sempre, a confrontarci per trovare un punto di equilibrio tra le esigenze delle imprese e quelle riconducibili alla tutela e vivibilità del centro storico; quello che non possiamo accettare è che vengano disconosciuti gli sforzi (anche economici e finanziari) fatti delle “nostre” attività proprio in tale ottica. Così come non possiamo accettare che ci siano imprese di “serie A” (con autorizzazione suolo pubblico) e altre di “Serie B (in “perenne” attesa dei relativi permessi). Certo, sussiste il tema di regolamentare e disciplinare quello che altrimenti sarebbe un vero e proprio “assalto alla diligenza”, ma dobbiamo farlo con criteri e tempistica certa ed inattaccabile. Proviamoci, caro assessore Bettarini, proviamoci insieme.