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Pubblico impiego: un macigno sulla strada del nuovo governo, da spazzarsi in tempi brevi

La riforma della pubblica amministrazione è senza dubbio uno degli argomenti al centro del programma del nuovo Governo Gentiloni. La riconferma della titolare del Ministero per la semplificazione e la pubblica amministrazione, Marianna Madia, sembra un segno evidente di continuità, probabilmente considerata necessaria soprattutto per correggere i difetti della legge 124/2015, bocciata dalla Consulta con la sentenza 251/2016. In molti si aspettavano, al contrario, un deciso cambiamento della guida del ministero: la sentenza della Consulta era apparsa come una sonora bocciatura dell’operato della ministra.

In effetti anche questa riforma che doveva essere tra i fiori all’occhiello dell’esecutivo Renzi è stata demolita in parte dalla Consulta che ne ha smontato alcuni tasselli cruciali perché i decreti attuativi sono stati varati con il solo parere delle Regioni, invece della necessaria intesa. Nel mirino le norme sulle società partecipate da enti pubblici (in vigore da settembre) e sui licenziamenti disciplinari veloci degli statali (operative da luglio) nonché i decreti sui servizi pubblici locali e il riordino della dirigenza, approvati in via definitiva dal consiglio dei ministri il giorno prima della sentenza. Questi ultimi due sono poi stati ritirati dal governo. Essendo scaduta la delega il nuovo esecutivo dovrà rimetter mano alla materia varando un nuovo ddl. Dunque addio ruolo unico e licenziabilità per gli alti dirigenti statali. Il riordino delle partecipate e il decreto contro i furbetti del cartellino, necessitano invece dell’urgente varo di decreti correttivi da approvare stavolta con l’intesa della Conferenza unificata.

La riforma complessiva della Pa costituisce dunque un banco di prova anche per il nuovo governo, dopo lo stop e il parziale fallimento del rottamatore. L’accordo governo-sindacati del 30 novembre indica però la direzione da seguire: integrare e correggere la riforma Brunetta e rafforzare la contrattazione a scapito delle regole unilaterali pubblicistiche.

Resta infine il problema di attuare il rinnovo del contratto degli statali: l’intesa quadro sugli 85 euro medi di aumento firmata da governo e sindacati, conclusa in fretta e furia pochi giorni prima del referendum, è solo il primo passo. Ammesso che l’accordo venga confermato, alla luce dei probabili problemi finanziari, mancano ancora le direttive per i quattro comparti della pubblica amministrazione, che il ministero deve inviare all’Aran. Poi, entro febbraio, dovrebbe essere varato il testo unico sul pubblico impiego previsto dalla riforma e necessario per superare, come prevede il verbale del 30 novembre, le previsioni della legge Brunetta sulla distribuzione del salario accessorio.

Come si può rilevare c’è molta carne al fuoco, ma i pubblici dipendenti e i loro sindacati non possono dormire sogni molto tranquilli perché incombe ancora l’ombra di Renzi che, pur di tornare in sella alla svelta con le elezioni anticipate, sacrificherà sicuramente ancora una volta gli interessi dei lavoratori pubblici, da lui scarsamente considerati da sempre, ma probabilmente, adesso, ritenuti anche responsabili di una buona parte della valanga di No che ha seppellito il rottamatore, la sua ministra Boschi e la riforma costituzionale.

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Paolo Padoin

Già Prefetto di Firenze Mail

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