Skip to main content

Pensioni, perequazione: nuova ordinanza della Consulta, il blocco Poletti è legittimo

La Corte Costituzionale, dopo averlo affermato nella sentenza n. 12 del 30 gennaio 2018, continua ad applicare la ragion di Stato invece del diritto. Con la sentenza n.12 citata la Corte aveva esplicitamente fatto riferimento all’importanza della valutazione dell’impatto economico sui conti pubblici, che diveniva un elemento discriminante.

Con quella sentenza, la Corte aveva però dichiarato incostituzionale una legge retroattiva di interpretazione autentica che voleva far vincere all’INPS una causa che aveva già perso. La Corte aveva affermato che, secondo la Corte di Strasburgo, questo viola l’art. 6 della CEDU. Ma soltanto perché «i costi del contenzioso […], pari a circa 45 milioni di euro […] non risultano tali da incidere in modo significativo sulla sostenibilità del sistema previdenziale e sugli equilibri della finanza pubblica». Dunque, pur dando ragione ai ricorrenti, la corte aveva affermato un principio estremamente pericoloso, la rilevanza della questione di costituzionalità sulla base di valutazioni d’impatto economico sul bilancio dello Stato e non su ragioni giuridiche.

Principio che è stato puntualmente confermato dalla più recente ordinanza 96/18 (redattore Sciarra) con la quale è stato salvaguardato il principio secondo il quale «La rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici non è riconosciuta con riferimento alle fasce di importo superiori a sei volte il trattamento minimo INPS». La precedente sentenza 70/15 della stessa Corte, che aveva cancellato la legge Monti/Fornero sul blocco della perequazione, era già stata svuotata dal dl 65/15 (Bonus Poletti), ma successivamente la stessa Corte, nella nuova composizione in era renziana, aveva cambiato già indirizzo, facendo prevalere la ragion di Stato (art 81 Cost)  e le tesi governative sullo stato di diritto. Sancendo quindi che la maggior parte del peso della salvaguardia dell’equilibrio del bilancio va sopportato dai pensionati e non sanato dall’eliminazione degli sprechi delle amministrazioni statali, regionali, comunali, provinciali e dagli altri enti pubblici. 

La Corte ricorda che anche in precedenza aveva ribadito che la norma sul blocco delle pensioni il legislatore ha bilanciato, nel corretto esercizio della sua discrezionalità, le esigenze finanziarie e l’interesse dei pensionati, tutelandone il potere di acquisto attraverso l’attuazione dei principi di adeguatezza e di proporzionalità: «con la scelta non irragionevole di riconoscere la perequazione in misure percentuali decrescenti all’aumentare dell’importo complessivo del trattamento pensionistico, sino a escluderla per i trattamenti superiori a sei volte il minimo INPS, destinando, così, le limitate risorse finanziarie disponibili, in via prioritaria, alle categorie di pensionati con i trattamenti più bassi».

In quest’ultima ordinanza la Corte conclude che «è nella costante interazione tra i principi costituzionali racchiusi negli articoli 3, 36, primo comma, e 38, secondo comma, Costituzione che si devono rinvenire i limiti alle misure di contenimento della spesa che, in mutevoli contesti economici, hanno inciso sui trattamenti pensionistici e che l’individuazione di un equilibrio tra i valori coinvolti determina la non irragionevolezza» del blocco delle pensioni superiori a sei volte il minimo. I pensionati considerati ricchi non hanno alcun diritto; ha ragione Franco Abruzzo, la Consulta con queste sentenze calpesta molti principi costituzionali.

 

consulta, pensioni, perequazione

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Time limit is exhausted. Please reload the CAPTCHA.

Firenze Post è una testata on line edita da C.A.T. - Confesercenti Toscana S.R.L.
Registro Operatori della Comunicazione n° 39741