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Referendum e elezioni: i rischi di una riforma affrettata

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L’Aula del Senato

Sul Corriere della Sera Massimo Luciani, professore di diritto costituzionale, intervistato da Giuseppe Alberto Falci, evidenzia i possibili rischi della riduzione dei parlamentari e dell’approvazione (affrettata, vorrebbe il Pd) di una nuova legge elettorale, con la conseguente diminuzione della rappresentanza democratica per alcuni territori.

Senza sottovalutare il rischio – aggiungiamo noi – che, come appare evidente dalle dichiarazioni di Zingaretti, i giallorossi vogliano accelerare l’approvazione della nuova legge elettorale prima del referendum, in modo da ridisegnare i collegi elettorali in funzione della vittoria dei candidati giallorossi, e assicurarsi il governo, con l’appoggio dell’Europa, per altri lunghi anni.

Ci dice Luciani che una legge elettorale maggioritaria aumenterebbe il rischio di forti distorsioni, ma anche una legge proporzionale dovrebbe essere pensata accuratamente. Già nel 2014 la Corte costituzionale ha detto che non è legittima una legge proporzionale che priva l’elettore di ogni margine di scelta dei propri rappresentanti, lasciando che — invece — essa sia totalmente rimessa ai partiti. Stavolta, viste le proporzioni del taglio, il rischio di una rappresentazione inadeguata del panorama politico di alcuni territori è concreto. Soprattutto in Senato, con soli duecento senatori da eleggere, con la riforma alcune Regioni subiranno un taglio molto più drastico di altre.

La spinta alla polarizzazione dello scontro che verrà da numeri così ridotti, non favorirà certo il dialogo e aumenterà la tentazione delle maggioranze di turno di scegliersi il loro presidente, quando invece la Costituzione vuole che chi è presidente lo sia di tutti. Ma in realtà tutti o quasi i Presidenti della Repubblica sono stati eletti da maggioranze di centrosinistra a loro uso e consumo, come è risultato evidente nei casi di Napolitano soprattutto e anche di Mattarella, non a caso proposto da Renzi.

Occorrerà provvedere al più presto anche a una riforma dei regolamenti parlamentari. Al Senato, quest’intervento sembrerebbe essenziale. I regolamenti vigenti sono tutti costruiti attorno ai numeri precedenti e non potranno funzionare bene con i numeri nuovi. Basta pensare al numero dei componenti oggi previsto per Ufficio di presidenza, giunte e commissioni. Basterebbe ridurlo? Non si porrebbero problemi di rappresentatività? E come faranno a essere presenti in tutte le commissioni i gruppi più piccoli? Sarebbe necessario, quanto meno, accorpare alcune commissioni, riducendo così il numero complessivo.

Questo il parere di Luciani, ma altri illustri costituzionalisti, come l’ex presidente della Consulta Luigi de Siervo la pensano diversamente. «Non occorre più un Parlamento così ampio. Si riduce l’eccessiva composizione delle Camere, dopo un’esperienza nella quale si è potuto constatare la loro attuale disfunzionalità. Il problema è solo quello di farle funzionare meglio. E per farlo si può ben lavorare su un ampio organo di 400 deputati e 200 senatori utilizzando – e questo è un punto importante – gli strumenti conoscitivi e di trasmissione delle informazioni che si sono enormemente accresciuti dal 1947 ad oggi».

L’ex presidente emerito avanza senz’altro argomenti molto fondati e logici, ma il pericolo di una riforma elettorale ad usum delphini da parte delle sinistre, per conservare il potere quasi in eterno, esiste seriamente e costituisce un rischio per la democrazia, potendo eliminare di fatto l’alternanza.

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