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Governi tecnici: da Ciampi a Mario Draghi. Bene quelli targati Banca d’Italia. Male Mario Monti

Carlo Azeglio Ciampi
Carlo Azeglio Ciampi, livornese, primo presidente del consiglio tecnico. Poi presidente della Repubblica

ROMA – Li ricordo molto bene, i governi tecnici nella storia della Repubblica italiana: ossia presieduti da personalità estranee ai partiti. Sono stati tre: guidati da Carlo Azeglio Ciampi, Lamberto Dini e Mario Monti. Il quarto sarà Mario Draghi (che comunque farà il tentativo) che viene dall’esperienza della Banca d’Italia come i primi due. Il primo governo tecnico, quello presieduto da Carlo Azeglio Ciampi (che poi diventerà Presidente della Repubblica) ebbe l’incarico sul finire dell’XI legislatura, ossia nel 1993, dopo che il precedente governo di Giuliano Amato era stato falcidiato dagli avvisi di garanzia (e dal prelievo sui conti correnti bancari di tutti i cittadini). Ciampi, livornese, lasciò un’impronta molto positiva anche a Firenze: venne personalmente dopo la strage dei Georgofili del 26 maggio ’93, ristorò davvero i danni patiti, oltre che dalla Galleria degli Uffizi e dall’Accademia dei Georgofili (che da oltre 250 anni promuove studi in agronomia e selvicoltura) e dai fiorentini, semplici cittadini e imprenditori, soprattutto ristoratori, negozianti, albergatori. Ciampi stanziò una cifra gestita dalla Prefettura di Firenze (il nostro Paolo Padoin, all’epoca viceoprefetto, fu l’improvvisato tesoriere) che, cosa mai accaduta in occasione di altri disastri, riuscì a non spendere tutto lo stanziamento. E restituì una parte dei soldi, con grande soddisfazione dell’allora sottosegretario alla Presidenza, Vito Riggio, incaricato da Ciampi di tenere i contatti con la Firenze ferita dalla bomba.

CIAMPI – Torniano a Ciampi. Il presidente della Repubblica Scalfaro affidò l’incarico al governatore della Banca d’Italia, Ciampi, che giurò il 28 aprile 1993 e si dimise il 13 gennaio 1994, dopo l’approvazione della nuova legge elettorale maggioritaria, il Mattarellum. I ministeri furono guidati in parte da politici (es Nicola Mancino, Nino Andreatta, Rosa Russo iervolino, Valdo Spini, Fabio Fabbri) e da tecnici di altissimo profilo ai portafogli economici (Luigi Spaventa, Luigi Gallo, Piero Barucci). I giornali parlarono per la prima volta di governo del presidente.

DINI – Il secondo esecutivo tecnico fu quello guidato da un altro toscano, per la precisione fiorentino, dopo la caduta del Berlusconi I: Lamberto Dini. Anche in questo caso fu Scalfaro a incaricare quello che era stato il ministro del Tesoro del governo Berlusconi, oltre che Direttore generale di Bankitalia. Dini giurò il 17 gennaio 1995 assieme ad una squadra composta esclusivamente da tecnici, tenendo per sé il Tesoro. Dopo un anno, l’11 gennaio 1996 rassegnò le dimissioni. Attorno a quell’esperienza di governo nacque Rinnovamento Italiano, che alle elezioni, alleato con l’Ulivo superò lo sbarramento dell’4% ed entrò in Parlamento. Anche Dini, nonostante le difficoltà, non fece male, ma lasciò un’impronta: la riforma delle pensioni. Passando dal sistema retributivo a quello contributivo: Chi aveva almeno 18 anni di versamenti nel 1996 era salvo. Gli altri no.

MONTI – Nel 2011, quando la crisi dello spread spinse alle dimissioni il governo Berlusconi IV, il presidente Napolitano incaricò Mario Monti, che era stato nei giorni precedenti nominato senatore a vita. L’ex commissario europeo giurò al Quirinale il 16 novembre 2011, portando co sé una squadra di soli tecnici. Mario Monti sarà ricordato come un tagliatore: pesantissima anche la scure che si abbattè sulla sanità, con la canmcellazione di migliaia di posti letto negli ospedali. Ma ancora peggio fece uno dei suoi ministri: la professoressa Fornero. Che passò alla storia per la riforma delle pensioni. Appena varata la legge, eclatante fu il caso dei cosiddetti esodati. In sintesi migliaia di lavoratori (la cifra esatta non si seppe mai) che, dopo essersi accordati con i propri datori di lavoro e attraverso contratti individuali o collettivi, lasciarono in massa il proprio lavoro per andare in pensione, e invece… SORPRESONA! L’età pensionabile slittò e quindi per loro niente stipendio, pensione, e nessun ammortizzatore sociale, fino al raggiungimento del traguardo. E gli altri? Quelli che ancora lavoravano? Pare che quarant’anni di contributi non fossero abbastanza e che comunque, giunti all’età della pensione, i soldi erogati dall’Inps non sarebbero più stati quelli di una volta. Si passò poi, dewfinitivamente, dal sistema retributivo a quello contributivo (già avviato dalla riforma Dini) come unico modello di calcolo per la prestazione pensionistica, abbassando drasticamente le pensioni future. Anche per Mopnti si parlò di governo del presidente. Monti si dimise il 21 dicembre, e anche lui diede vita aun partito Scelta Civica, formato da personalità della società civile, che alle elezioni prese l’ 8,3% all’interno di un polo che si assestò al 10,56%. Ora tocca a Draghi, che dovrà gestire i 209 miliardi europei del Recovery Plan. Ma questa è un’altra storia. Che cominciamo a scrivere ora.


Bennucci

Sandro Bennucci

Direttore del Firenze PostScrivi al Direttore

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