Europa: l’Italia ha il triste primato della fuga dei cervelli, insieme a Polonia e Romania
BRUXELLES – Giovani, qualificati e sempre più attratti dalle opportunità offerte dall’economia della conoscenza. Questo il profilo dei mover, cittadini europei in età lavorativa (20-64 anni) che vivono in un Paese Ue diverso da quello d’origine. E tra gli Stati che registrano più partenze che arrivi, c’è anche l’Italia che non riesce ad invertire la rotta nella fuga dei cervelli. Emerge da un’analisi del programma studi Espon, specializzato in indagini regionali Ue, dedicata ai flussi migratori intra-europei e alla loro connessione con l’economia della conoscenza che lega apprendimento, innovazione e competitività, come ad esempio avviene con le start-up, ed il settore tecnologico.
Negli anni la mobilità all’interno dell’Ue ha mutato pelle. La percentuale di chi decide di stabilirsi in un altro Stato dell’Unione è in aumento, ma ad un ritmo meno elevato che in passato. A crescere, secondo il sondaggio Ue sulla forza lavoro europea (Eu-Lfs) citato nello studio, è la quota di quanti sono in possesso di un titolo di studio universitario, e scelgono di vivere in uno Stato Ue diverso da quello d’origine. Una quota che nel 2019 si è attestata al 34%, in aumento del 9% rispetto al 2009. Austria, Belgio, Francia, Germania e Spagna sono i più importanti Paesi di destinazione per i lavoratori qualificati. Prima del divorzio dalla Ue, era il Regno Unito ad attrarne di più. Al contrario, tra i principali Stati che vantano il triste primato della fuga dei cervelli ritroviamo l’Italia, insieme a Polonia, Romania, Bulgaria e Portogallo.
Secondo i ricercatori, esisterebbe una correlazione tra l’economia della conoscenza, più dinamica e competitiva soprattutto in Europa occidentale e settentrionale, e la mobilità intra-europea. I giovani lavoratori qualificati, scrivono i ricercatori, hanno tassi di mobilità più elevati di altri segmenti della popolazione e tendono a stabilirsi in regioni dove è maggiormente sviluppata l’economia della conoscenza. Nelle regioni e nei Paesi di destinazione, l’immigrazione di lavoratori altamente qualificati è spesso considerata un importante volano di sviluppo; al contrario per gli Stati di provenienza la fuga di cervelli ha implicazioni negative sul territorio, siano esse economiche, sociali e demografiche.
In quest’ottica, la concentrazione dell’economia della conoscenza in alcune aree contribuisce ad accrescere gli squilibri territoriali tra Stati membri, squilibri che possono alimentare l’instabilità politica e minare la coesione europea. Compito della politica Ue di coesione, quindi, sarà di ridurre le disparità strutturali che rendono alcune regioni meno attrattive agli occhi di investitori e lavoratori, non solo promuovendo investimenti in R&D e digitalizzazione, ma anche valorizzando conoscenze e risorse locali, fornendo servizi e infrastrutture di interesse generale e favorendo la cooperazione orizzontale e verticale tra gli stakeholder, in particolare tra università e Pmi.