4 novembre, l’Arno ci minaccia ancora: opere in ritardo di mezzo secolo. E per alzare la diga di Levane manca il progetto
FIRENZE – Sono andato a guardare l’Arno, dal ponte alle Grazie. Ci vado tutti gli anni, quasi in pellegrinaggio, alla vigilia di ogni 4 novembre. Perchè nel 1966, quando l’alluvione travolse e sconvolse tutto, io c’ero: avevo sedici anni e le lacrime agli occhi. In tasca la tessera di “collaboratore” de La Nazione che Enrico Mattei, mitico direttore, e grande difensore della Firenze di quei giorni, mi aveva firmato appena un mese prima. Che cosa accadde? Semplice: centocinquanta milioni di metri cubi d’acqua si rovesciarono su una città e su una regione che rischiarono di scomparire come Atlantide. Perché? La risposta è in poche righe, racchiusa in una definizione che, del fiume, scrivo da decenni. Ossia che l’Arno si porta addosso una grande anomalia: è un torrente con sfrenate ambizioni di fiume. E’ al quarto posto fra i corsi d’acqua italiani, ma raccoglie la pioggia di una sola montagna. Quando piove sul Pratomagno l’Arno va in piena. Quando smette di piovere, l’Arno va in secca. E’ così da sempre. La maledizione si ripete da oltre 800 anni, cioè dal 4 novembre del 1177.
L’ALLUVIONE – Ecco perchè ogni anno vado lì: e guardo. L’Arno scorre, apparentamente tranquillo, trasportando 10-30 metri cubi d’acqua al secondo. Ma io so che, proprio perchè è “un torrente con sfrenate ambizioni di fiume”, ha la capacità di gonfiarsi: fino a rovesciare, come fece, su Firenze e due terzi della Toscama 4100 metri cubi al secondo. Un’onda alta sei-otto metri. Che tutto travolse. Quell’onda si formò attraverso la caduta, in 27-28 ore, di 210 millimetri di pioggia sull’intero bacino. Punta massima a Badia Agnano, nell’Aretino: 437 millimetri. E ancora: a Stia 167 millimetri; a Camaldoli 183; a Arezzo 88; a Vallombrosa 158; a Borgo San Lorenzo 136. In totale, l’onda gigantesca venne calcolata fra 150 e 200 milioni di metri cubi d’acqua. Su Firenze si rovesciarono 100 milioni di metri cubi, dopo che se ne erano disperse molte decine di milioni, nella notte fra il 3 e il 4 novembre 1966, nel Casentino, nel Valdarno, nel Mugello. E l’esondazione, a Firenze, non riuscì a evitare che l’onda continuasse la corsa, riversando la sua furia a valle: Lastra a Signa, Signa, Montelupo, Empoli, fino a Pisa.
PIANO DI BACINO – Nei 56 anni che sono passati dal 4 novembre 1966 ho dedicato, alla “furia dell’Arno”, due libri e alcune migliaia di articoli. Tutti con un solo obiettivo: far capire la minaccia e denunciare il (quasi) nulla che si è fatto per la messa in sicurezza. Il primo a finire in un cassetto fu piano De Marchi-Supino, elaborato qualche an no dopo la grande alluvione, Poi fu la volta del Progetto pilota della Regione Toscana, voluto da Gianfranco Bartolini. Infine arrivò, nel 1998, il piano di bacino del professor Raffaello Nardi. Che venne stralciato ed è ancora la “bussola” per opere tante volte citate, ma ancora irrimediabilmente indietro. Intendiamoci, quello “stralcio” servirebbe a mitigare solo un po’ la gigantesca onda di piena da 100-150 milioni di metri cubi d’acqua. Tutte le opere insieme tratterrebbero alcune decine di milioni di quell’acqua. Ma a tutt’oggi, appunto, non c’è “quasi” nulla.
BILANCINO – Vogliamo vedere nel dettaglio di cosa stiamo parlando? Prima una precisazione: su Bilancino, unica diga realizzata (dopo scandalo e arresti) dopo il 1966. Sorge nel Mugello, è indispensabile per rifornire Firenze e l’area di Prato e Pistoia nei periodi secchi. E’ stata, la diga, preziosa anche in questa lunghissima estate 2022. Ma come difesa dalle alluvioni, Bilancino è limitata: perchè sorge troppo in alto rispetto allo scorrere della Sieve, e raccoglie solo pochi dei suoi affluenti. Del piano di Nardi, molto articolato, è stato deciso di attuare solo una parte: quella relativa alle casse d’espansione e al rialzo della diga di Levane. Morale? Da oltre vent’anni si parla di queste opere, praticamente tutte drammaticamente indietro. Il presidente della Regione, Eugenio Giani, che è anche commissario di governo “per il contrasto al dissesto idrogeologico” ha tenuto proprio ieri, 3 novembre 2022, una conferenza stampa citandole, queste opere. Ma i suoi consulenti gli avranno spiegato da quanti anni le stiamo asopettando?
CASSA PIZZICONI – Ricordo bene le conferenze stampa di Giovanni Menduni, segretario dell’Autorità di bacino, intorno al 2004. Diceva che la Cassa d’espansione di Pizziconi, a Figline Valdarno, poteva partire subito con i cantieri. Morale? Diciotto anni dopo è stato completato (e più volte inaugurato) solo il primo lotto. Al secondo manca ancora l’opera di presa che comprende il sottoattraversamento dell’Autostrada A1.
CASSA RESTONE – E’ sempre nel Valdarno: stesse conmferenze stampa di Menduni. Che prevedeva le realizzazioni in pochi anni. Invece? La “cassa” di Restone vede completato solo il primo stralcio, che comprende argini e reticolo idraulico. Manca la cassa d’espansione vera e propria, che deve ancora essere appaltata.
CASSA PRULLI – La cassa d’espansione di Prulli è nel comune di Reggello. Anche qui sono state completate solo le opere propedeutiche. Il progetto esecutivo deve ancora partire. Quanti anni passeranno prima che sia in grado di contribuire a fermare un’eventuale piena dell’Arno?
CASSA LECCIO – E’, anche la cassa di Leccio, nel comune di Reggello. Sono in corso i lavoro per l’adeguamento del ponte sull’Arno. Ma il progetto per realizzare la “cassa” deve essere ancora completato.
DIGA DI LEVANE – Sono due le dighe Enel sull’Arno: La Penna e Levane. Nardi aveva pensato di alzarle entrambe. Poi fu convinto a puntare solo su Levane che, rialzata, potrebbe trattenere qualche milione di metri cubi d’acqua in più. Se ne parla dal progetto di Nardi: ossia dal 1998. Personalmente l’ho visitata tre volte. L’ultima nel 2012, durante una “discesa dell’Arno”, con Gaia Checcucci ed Erasmo D’Angelis. Si parlava di 2imminente avvio dei lavori”. Dieci anni dopo, ossia in questi giorni, ho fatto la scoperta: manca perfino il progetto. Perchè? Chi lo deve fare? Quanti decenni dovranno ancora passare prima che si riesca a vedere il cantiere all’opera?
CASSA SAN MINIATO – A valle di Firenze le opere vanno più spedite. La Cassa d’espansione dei OPiaggioni, a San Miniato, è stata completata. Quelle dei Renai e di Fibbiana hanno i lavori in corso. Bene. Ma il problema serio, come detto e a ripetuto, è a monte di Firenze.
BOMBE D’ACQUA – Se fino a una venticinque anni fa si stimava pericolosa una soglia di pioggia valutata intorno ai 150 millimetri, dal 1996 si è manifestato il nuovo rischio: quello delle piogge violente e concentrate. Le cosiddette “bombe d’acqua” che definii così proprio io, su La Nazione, dopo l’alluvione dell’Alta Versilia, provocata da oltre 470 millimetri di pioggia, caduti in poche ore su un ristretto fazzoletto di terra. Ma ci sono stati esempi di piogge violente e concentrate anche relativamente recenti. Nell’agosto del 2015, la parte Sud di Firenze venne sconvolta da una pioggia torrenziale che sembrava quasi mirata. A poche centinaia di metri dalla zona colpita non venne praticamente registrato nessun danno. A metà agosto di questo 2022, una settantina di millimetri di pioggia fece straripare l’Ema: sott’acqua il comune di Bagno a Ripoli, con le frazioni di Grassina, Antella, Capannuccia. Ripeto la domanda delle domande: che cosa si aspetta per portare a termine almeno le opere programmate, ossia il piano di bacino di Nardi: diventato “pianino”. In tutti i sensi.