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Il salar di Uyuni, visto dall'isola Incahuasi

Reportage. La crisi morde? Scappo in Bolivia: dove la paga media è 18 euro al mese

 

Il salar di Uyuni, visto dall'isola Incahuasi
Il salar di Uyuni, la più grande distesa di sale del mondo, visto dall’isola Incahuasi

SUCRE (Bolivia) – Patricia è nata a Sucre, la città bianca della Bolivia. Un passato coloniale, il riconoscimento dell’Unesco come patrimonio dell’umanità e un nome che non c’entra con lo zucchero ma con Antonio José de Sucre, eroe delle guerre d’indipendenza ispanoamericana. Pati ha lasciato il suo paese dodici anni fa, per venire a studiare in Italia. La parlata cadenzata dai «nè» tradisce gli anni passati a Bergamo. Il suo futuro in Italia finisce quando il marito Alfredo, bergamasco, è costretto a lasciare il lavoro a causa di un incidente stradale che non lo fa tornare in perfette condizioni fisiche. L’Italia non offre più garanzie e lei, di mestiere contabile, decide di spostare la famiglia in Bolivia.

EL DORADO- Costa meno la vita nel paese sudamericano. Un pasto completo al ristorante vale tre euro; si mangia pollo o carne di lama, con riso e «papas», le patate, di innumerevoli varietà. Era e sarebbe ricca la Bolivia, un paese rivestito d’oro. Erano realmente vestiti d’oro gli incas che i conquistadores  trovarono quando sbarcarono in queste terre. Chi si reca a Tiuanaco o La Paz può ammirare una cinquantina di rudimentali ornamenti luccicanti; tutti gli altri hanno fatto comodo alla corona di Spagna. Patricia torna in patria a cercare El Dorado, come gli avventurieri di cinquecento anni fa.

Dalla selva amazzonica ai vulcani andini, in Bolivia c’è ricchezza di paesaggi e di sottosuolo. Ma le miniere sono esaurite. Potosí è la città dell’argento. Nel XVI secolo aveva più abitanti di Londra. Oggi l’argento nelle miniere del Cerro Rico non c’è più, ma i minatori ci sono ancora. E lavorano quasi nelle stesse condizioni di cinquecento anni fa. Ci si può avventurare dentro i cunicoli sotterranei, non prima di aver comprato dei regali da offrire ai minatori. Dinamite, bibite gassate, foglie di coca, alcol puro, tutta merce di libera vendita al mercato cittadino.

COCA- Il sapore è vagamente acre, la coca è alimento del quotidiano. A quattromila metri non c’è ossigeno, le foglie masticate a lungo prima in una guancia, poi nell’altra, danno energia. Ѐ dono degli dei. Che poi  sarebbe un Dio solo, sono tutti cristiani. Ma qualcosa delle antiche credenze è rimasto nell’indio di oggi. Allora addentrandosi in una miniera si deve scendere nel buio, lungo i binari dove corrono i carretti spinti a mano. In fondo al labirinto capita di imbattersi in una statua addossata alla roccia. La piccola luce delle torce sull’elmetto rivela il «tío», cioè il diavolo che è necessario ingraziarsi per non avere incidenti. Ai piedi del diavolo con testa minacciosa e fallo enorme, i minatori hanno offerto foglie di coca, sigari e alcol. «La maggior parte della gente, quaggiù, – dice Freddy, ex minatore – muore perché da ubriaco cade in un buco». La paga media? Per un lavoratore di primo livello sono 150 boliviani al mese, circa diciotto euro.

PRESIDENTE- Incontrare la gente boliviana è sperimentare l’accoglienza. In Bolivia non ci sono europei, sono quasi tutti indigeni divisi fra 37 etnie diverse, dai guaraní dell’Amazzonia, ai quechua, agli aymará. E il primo indigeno a prendere il potere, dagli incas in poi, è stato l’attuale presidente Evo Morales. Prima sindacalista dei coltivatori di coca, oggi a capo di un governo socialista, di stampo nazionalista. Siamo in clima pre-elettorale.  «Evo» (così lo chiamano) ha cambiato la costituzione per farsi eleggere per il terzo mandato. «Deve vincere», dice un tassista. Patricia spiega che «per primo ha fatto cose buone per il paese. Ha allontanato gli americani, ha obbligato le imprese che vogliono fare affari in Bolivia a lasciare il grosso dei guadagni nel paese». I cartelloni pubblicitari per le elezioni sono delle scritte dipinte sui muri, come se un graffitaro educato si fosse preso a cuore la causa politica.

LA PAZ- «Grazie Evo» si trova scritto accanto alla nuovissima ovovia che il presidente ha regalato alla capitale La Paz. La seconda linea aprirà a settembre; le elezioni saranno a ottobre. Un impianto da sci usato come un autobus, in una città dalla morfologia particolarissima. La capitale più alta del mondo è costituita da un milione di case aggrappate alle pareti di un canyon; in alto El Alto, la città attigua con un altro milione di abitanti fra le vie intasate di traffico e i mercati.

PARIGI-DAKAR- La Bolivia sorprende per varietà di paesaggi e climi. Nel salar di Uyuni, una distesa di 12mila metri quadrati di sale unica al mondo, passa ora la corsa Parigi-Dakar. La prossima edizione si terrà in gennaio. Ci si può addentrare in fuoristrada, stando attenti a non impantanarsi dove il sale non regge il peso. Al confine con il Perù c’è il lago Titicaca. «Titi è in Bolivia», scherzano i bambini boliviani. Sulla sponda peruviana dicono l’opposto. Ѐ questo immenso lago il mare boliviano. Perché la Bolivia ha perso tutte le guerre che ha combattuto e nella guerra contro il Cile ha perso l’accesso al mare. Il risentimento è forte ed è cavalcato da Morales. Attraversando il lago su una barchetta, mentre le macchine passano su una chiatta, si può sentire un anziano, berretto con scritto Captain, che bofonchia «Il mare è ancora nostro, i cileni hanno occupato quei territori ma sanno di essere nell’illegalità». Infatti la Bolivia non ha il mare ma ha la marina, che orgogliosamente si esercita nel lago Titicaca. Sarcastico, qualcuno dice che dovrebbe chiamarsi «laghina».

Nei mercati, tra frutta e pelli morbide di alpaca, la Bolivia aspetta il turismo. Il primo problema da affrontare per il visitatore è il mal d’altitudine, il terribile sorojchi. Mal di testa e nausea che possono durare giorni. Per questo le farmacie vendono sorojchi pills, a base di aspirina e caffeina. A cui si aggiunge la panacea di tutti i mali, la coca. Intanto Alfredo, italiano emigrato in Bolivia, ha imparato a masticarla.

 

 

Bolivia, Sudamerica, viaggi

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