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Il Duomo di Firenze

Usciamo dai nostri mille egoismi

Ecco l’omelia che il cardinale arcivescovo Giuseppe Betori, ha appena pronunciato nel Duomo di Firenze, gremito di fedeli durante la messa della mezzanotte di Natale. 

 

Cardinale Giuseppe Betori
Cardinale Giuseppe Betori

«Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse» (Is 9,1), proclama il profeta Isaia. E la luce – abbiamo udito dal vangelo – circonda i pastori quando appare loro l’angelo dell’annuncio: «la gloria del Signore li avvolse di luce» (Lc 2,9).  Un bambino è la sorgente di questa luce: «Un bambino è nato per noi…: Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace» (Is 9,5), «oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore… un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» (Lc 2,11-12).

E qui il nostro sguardo fatica, non riesce a sopportare lo splendore che emana dal mistero: come mettere insieme l’infinito di Dio e la debolezza di un bambino, un orizzonte di pace e di salvezza per il mondo intero e la povertà di una mangiatoia? La nostra mente vacilla di fronte a tanta arditezza del progetto divino; non così però il nostro cuore, che da subito coglie nel segno del piccolo bambino il segreto di un mondo nuovo, in cui non sono più il potere e la violenza a farla da padroni, ma l’accoglienza umile e la tenerezza che abbattono contrapposizioni e divisioni.

L’aspirazione racchiusa nell’immagine di Betlemme si fa acuta nostalgia nei giorni che viviamo, amareggiati da tanti segnali di crisi che minacciano la vita e la saldezza delle nostre famiglie, il futuro dei nostri giovani, la ricerca del lavoro e la sua garanzia, la cura dei nostri anziani, il cibo e un tetto per i poveri, la dignità dei detenuti. Anche questo nostro mondo può essere definito, con le parole del profeta, «terra tenebrosa» (Is 9,1). Ma proprio mentre camminiamo «nelle tenebre» (Is 9,1), e si fa più viva in noi la consapevolezza del buio in cui è gettata la nostra vita, tanto più avvertiamo insopprimibile dentro di noi il desiderio della luce, l’aspirazione alla verità e alla giustizia, a poter scorgere cioè il volto autentico di noi stessi, degli altri, di Dio.

La connessione tra verità e giustizia è al centro della potenza di luce che scaturisce dal Natale. Il mondo nuovo e giusto, quello in cui viene «spezzato il giogo» (Is 9,3) di ogni oppressione, in cui vengono «dati in pasto al fuoco» gli strumenti della violenza» (Is 9,4), in cui «con il diritto e la giustizia» si consolida e si rafforza la pace che «non avrà fine» (Is 9,6), questo mondo nuovo è strettamente legato al riconoscimento della verità di Dio e dell’uomo nel volto del Bambino. Nella fragilità di un bambino possiamo scorgere il segno della tenerezza dell’amore di Dio, di come Dio sia amore pieno di tenerezza; nella povertà del Bambino possiamo cogliere la debolezza della condizione umana, che inutilmente vuol essere negata dalle voci illusorie di quanti vanno proclamando un’autonomia che rompe ogni vincolo per condannarci alla solitudine e un’autodeterminazione che rifugge da fermi principî per annegare nella propria impotenza.

Duomo FirenzeQuesta verità sull’uomo e su Dio è il grande dono del Natale. Nel Natale ci è svelata ad un tempo: la bontà del mondo, che da Dio è creato e a lui indirizzato; la dignità della persona umana, che si edifica nella libertà a immagine del suo Creatore; l’amore senza limiti di un Dio che non vuole che si perda alcuna delle sue creature. Nel volto del Bambino si rivela la verità dell’uomo, chiamato in questo mondo a camminare verso Dio.

Possiamo allora ben accogliere l’invito dell’angelo: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo». È la gioia che il profeta aveva preannunciato come il dono che scaturisce dalla nascita del bambino: «Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia» (Is 9,2). Non si tratta di muovere dei sentimenti, ma di prendere atto che la nascita di Gesù a Betlemme è davvero l’inizio di un mondo nuovo. La scoperta che la rivelazione di Dio in Gesù è una luce capace di sconfiggere le tenebre della nostra vita, è fonte di gioia perenne.

Non è difficile capire che la gioia di cui parlano il profeta e il vangelo è altra cosa rispetto alla confusa e superficiale spensieratezza con cui il consumismo di questi giorni vorrebbe avvolgerci, per nascondere ferite, sofferenze, interrogativi irrisolti. Ma se questo è, per così dire, evidente, più difficile è scrollarci di dosso l’idea che il vangelo di Gesù sia un peso che viene a gravare su di noi e non una liberazione di cui gioire.

Occorre reagire a questa deformazione del Vangelo, con cui la cultura diffusa vorrebbe convincerci che esso è contro le nostre aspirazioni, un progetto di vita che limiterebbe la nostra libertà. Ma occorre anche riconoscere che questa contraffazione comincia da noi stessi credenti, troppo poco capaci di vivere e mostrare che essere discepoli di Gesù è una gioiosa esperienza di grazia e non un affliggente gravame di norme. Questo perché alla grotta non ci si avvicina per nostra conquista, ma come risposta a una chiamata, e l’incontro con il Bambino è anzitutto un dono. Il vero dono del Natale.

Quanta gioia deve inondare il nostro cuore mentre scopriamo l’amore di Dio per noi! Nessun timore ci può separare da lui. Non possiamo avere paura di un bambino; non possiamo pensare che la strada su cui ci chiede di seguirlo sia contro di noi, contro il nostro vero interesse. Usciamo dai mille nostri egoismi, dai nostri calcoli meschini per andare con gioia a incontrare il Bambino di Betlemme, pronti ad ascoltare quanto vorrà dirci.

«Un bambino è nato per noi… e il suo nome sarà:.. Principe della pace. Grande sarà il suo potere e la pace non avrà fine» (Is 9,5-6). Alle parole di Isaia fanno eco gli angeli di Betlemme: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini che egli ama» (Lc 2,14). Pace è la parola che Gesù ci dice dal presepe. Pace anzitutto con Dio, se siamo disponibili ad accogliere la sua misericordia e gli facciamo posto – non un posto qualsiasi ma quello centrale – nella nostra vita. Pace con gli altri, riscoperti come fratelli e non come estranei, concorrenti o addirittura nemici. Pace con noi stessi, capaci cioè di accoglierci per quello che siamo – oltre ogni insoddisfazione e scontentezza – e alla ricerca di essere sempre più noi stessi, secondo il disegno che Dio ha su di noi.

Quest’immagine di riconciliazione universale è ben raffigurata nei nostri presepi. In essi ritroviamo tutto il mondo, nella varietà dei ruoli e dei mestieri, uomini e donne tutti orientati verso la luce che risplende dalla grotta del Bambino Gesù. È bello che in ogni casa, in ogni spazio educativo e di vita sociale ci sia il presepe. C’è però soprattutto da ricordare che c’è un posto anche per noi nel presepe. Non possiamo mancare a questo appuntamento di pace: «È apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini» (Tt 2,11)!

 

Betori, cardinale betori, curia

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