Referendum trivelle: partiti e comitati violano la regola del silenzio elettorale e nessuno interviene
ROMA – Il silenzio elettorale è quella particolare disciplina che, nei giorni di elezioni, impone divieti e limiti alla propaganda ed è prevista dall’articolo 9 della legge 4 aprile 1956 n. 212 così come modificato dalla l. 130/1975.
DIVIETO – Per effetto di questo articolo nel giorno precedente ed in quelli stabiliti per le elezioni sono vietati i comizi, le riunioni di propaganda elettorale diretta o indiretta, in luoghi pubblici o aperti al pubblico, la nuova affissione di stampati, giornali murali o altri e manifesti di propaganda (comma 1) e inoltre nei giorni destinati alla votazione è vietata ogni forma di propaganda elettorale entro il raggio di 200 metri dall’ingresso delle sezioni elettorali (comma 2). È quindi consentita la nuova affissione di giornali quotidiani o periodici nelle bacheche previste all’articolo 1 della stessa legge (comma 3) e la distribuzione di volantini in mano o dentro le buchette della posta, telefonate dirette e messaggistica di vario genere. La ratio di questa regola è che il cittadino possa riflettere serenamente sul voto che sta per esprimere.
DICHIARAZIONI – Orbene nella giornata di oggi 17 aprile, unico giorno di voto per il referendum sulle trivelle, un’Ansa delle 17,26 riporta una dichiarazione del vicesegretario del Pd, Lorenzo Guerini, secondo il quale i dati che giungono dalla Rete del Pd che segue l’andamento dell’affluenza ai seggi «sono in linea, anzi direi addirittura meglio, con le nostre aspettative». E senza sbilanciarsi sulle cifre, si dice ottimista sull’esito del Referendum.
REAZIONE – Non si è fatta attendere la giusta reazione del campo avverso, anche se militante dello stesso partito. Piero Lacorazza (Pd) – presidente del Consiglio regionale della Basilicata, capofila delle Regioni referendarie – afferma invece che «i dati raccolti dal Comitato delle Regioni dicono che alle ore 17 c’è un’importante affluenza ai seggi elettorali che porterà a un importante segnale politico». Infatti – sottolinea Lacorazza – l’unico termine di paragone è quello del referendum del 1999 che si svolse in un’unica giornata (alle ore 11 aveva votato il 6,7% e invece questa volta alle 12 l’8,3% e, sempre nel 1999, alle ore 17 si era al 26%). Attendiamo – ha aggiunto Lacorazza – il dato delle 19. Ricordiamo che il referendum del 1999 arrivò al 49,8%. Quindi è del tutto evidente che – conclude Lacorazza – saremo in presenza di un importante risultato costruito dal basso, dai territori e dai cittadini.
Come si vede, ad urne aperte, ciascuno porta acqua al suo mulino con dichiarazioni suscettibili proprio di influenzare gli elettori, circostanza questa vietata dalla legge. Ma tant’è le leggi ci sono ma nessuno le fa rispettare. Ministro alfano e Presidente della repubblica, e forse anche la magistratura, assistono impassibili.
Sempre Guerini ci fa sapere che comunque per una valutazione complessiva del risultato parlerà a urne chiuse il segretario, Matteo Renzi, che correttamente, almeno lui, aspetterà i dati ufficiali del Viminale.