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Migranti, vertice Ue: Parigi accusa l’Italia, ma il Consiglio apre a rimpatri e codice Ong

BRUXELLES – Dopo la tempesta le nubi sembrano diradarsi. Al Consiglio straordinario di Bruxelles sui migranti l’aria che si respira è molto diversa rispetto ai giorni infuocati della Ocean Viking e per la prima volta, assicurano i bene informati, si registrano passi avanti su diverse delle questioni più spinose che sempre hanno diviso i 27.

C’è un punto tra quelli sollevati dall’Italia che sembra avere incontrato orecchie attente e un forte consenso, anche se probabilmente ancora non unanime: è quello della critica al “modus operandi” delle Ong, e della necessità di inquadrarne le attività di ricerca e soccorso in mare con un codice di condotta
europeo, simile a quello già adottato a livello nazionale.
Ne ha parlato diffusamente il vicepresidente della Commissione europea Margaritis Schinas: “Dobbiamo lavorare con le Ong, ma in modo ordinato, in modo da rispettare anche i nostri Stati membri, in modo da strutturare le operazioni di ricerca e soccorso con un metodo operativo costruttivo. E se ciò richiede un quadro più strutturato, come un codice di condotta, allora sì, lo sosterremo”.
Durante la conferenza stampa conclusiva della riunione ha aggiunto: “Per me le Ong e le operazioni delle Ong non sono un soggetto tabù, non sono qualcosa che non debba essere discusso. Credo anzi che che se ne debba discutere, perché stiamo parlando della vita delle persone; e penso anche che le operazioni nel Mediterraneo e in altri mari non possono essere condotte in una situazione da ‘Wild Wild West’ dove tutti fanno ciò che vogliono e va bene così. Abbiamo bisogno di ordine, di un quadro, di cooperazione e di dialogo fra gli Stati membri implicati e le Ong. Abbiamo bisogno di impegno (‘commitment’, ndr) e di un sistema ordinato, e penso che questo sia possibile”.
“”La Commissione – ha ricordato – non ha la competenza giuridica per produrre un codice di condotta paneuropeo per le Ong, e perciò sarebbe molto difficile farlo; ma vedo invece come perfettamente possibile che la Commissione aiuti gli Stati interessati a produrre un set di regole, principi, strategie,
cooperazione e impegni, in modo che non si abbiano più situazioni di questo tipo che conducono a crisi difficili”.
Il vicepresidente della Commissione, comunque, ha avvertito che questo “inquadramento” delle attività delle Ong deve avvenire rispettando le norme internazionali e il diritto del mare.
“La legge internazionale – ha ricordato – obbliga gli Stati membri che sono responsabili delle aree Sar di ricerca e soccorso a fare ciò che è necessario, il che significa salvare la vita delle persone, portarle nei porti e determinare il loro status. Questo è il modus operandi”, ha concluso.

La questione è stata sollevata anche dallo stesso Gérard Darmanin, con tutt’altro tono rispetto alla sua intransigenza nei confronti dell’Italia sulla questione dei porti e dei ricollocamenti. Tra i punti del Piano d’azione presentato oggi dalla Commissione al Consiglio Affari interni c’è anche, ha affermato Darmanin a margine della riunione, “il fatto che dobbiamo ricordare a tutti il diritto del mare, menzionare il fatto che le Ong che sono nel Mediterraneo ovviamente sono lì per salvare le persone, e – ha aggiunto – in nessun modo per essere un collegamento con qualsiasi organizzazione di trafficanti. E ricordare soprattutto che anche i Paesi del Sud del Mediterraneo devono aprire i loro porti, visto che a volte ci sono imbarcazioni, in particolare quelle delle Ong, che transitano nelle acque territoriali dei Paesi del Sud del Mediterraneo che non aprono i loro porti”.
Sul suo account Twitter dopo la riunione del Consiglio, Darmanin è tornato sulla questione: bisogna, ha scritto, “supervisionare meglio l’azione delle Ong, specificando i diritti e gli obblighi che si applicano alle navi che effettuano operazioni di salvataggio, e istituendo – ha concluso il ministro francese – un quadro di cooperazione tra gli Stati del Mediterraneo e le Ong per un maggiore coordinamento e più prevedibilità”.

Altri Paesi, come Belgio, Germania e Olanda, hanno espresso le loro rimostranze per i movimenti secondari. Il ministro dell’Interno ceco, Vit Rakusan, da presidente di turno Ue ha poi avvertito che è “necessario prepararsi a un nuovo afflusso di rifugiati ucraini”. Qui la questione è diversa ma tutto si tiene, dato che per ora lo sforzo maggiore su quel fronte lo hanno fatto i Paesi dell’est, tradizionalmente sordi a qualunque richiesta di solidarietà proveniente da sud. Già, la solidarietà. Ylva Johansson, commissario per gli Affari interni, sostiene che “il meccanismo volontario di redistribuzione dei migranti funziona” e ora “va aumentata la velocità”.

In futuro, quando il nuovo patto approntato dalla Commissione sostituirà il trattato di Dublino, la “solidarietà” – sottolinea un’alta fonte diplomatica – dovrà divenire giuridicamente vincolante, così come ora la “responsabilità” (di salvare vite). Su questo pare che il Consiglio si sia espresso favorevolmente. Stessa cosa sulle operazioni nelle zone SAR (ovvero in mare). Non possono essere considerate alla stregua di quelle di terra.

Insomma, il carro si muove. Il prossimo appuntamento è già fissato, l’8-9 dicembre sempre a Bruxelles (sempre Consiglio Affari Interni). Ma già si ipotizza di portare la questione sul tavolo dei leader, nel vertice prenatalizio. “L’Italia – assicurano fonti di governo – è consapevole che l’incontro di oggi rappresenta l’inizio di un importante percorso comune in sede Ue per definire e rendere operativi strumenti efficaci per governare insieme il fenomeno della migrazione”.

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